Proprio la tesi di Matteo Piloni presso la Facoltà di Musicologia di Pavia-Cremona, che ha visto Serena Facci relatrice e Paolo Soddu correlatore, è stata la prima occasione di una riflessione comune sulla natura del Festival della canzone italiana. Ne è subito emersa l’esigenza di comprendere le ragioni della lunga durata e dell’eco che ha avuto e continua ad avere la gara che dal 1951 si svolge annualmente a Sanremo.
Siamo partiti dall’impressione, corroborata dalla letteratura sul Festival, che Sanremo potesse aiutare a decifrare l’evoluzione della cultura nazionale-popolare nell’Italia repubblicana. La categoria di Gramsci, se liberata dagli imperativi della ricerca di una impossibile omogeneità e collocata nei tempi delle radicali trasformazioni dei media che il pensatore sardo non poté conoscere, ci è parsa utile per scandagliare le persistenze, le innovazioni, e elemento che a nostro giudizio è decisivo la pluralità dei motivi contenuti nell’animo collettivo della nazione: in altre parole la storia del rapporto tra il Festival e gli italiani.
Lungi dall’essere specchio della società e del costume, Sanremo ha assunto precocemente e ha conservato le caratteristiche di un più modesto, ma anche più interessante discorso sullo stato di salute della nazione che, uscita ferita dalle lusinghe del nazionalismo, privilegiava il parlare di se stessa entro le forme lievi di un linguaggio tuttavia profondamente depositato quale quello musicale. Se il cinema, almeno fino alla presenza pervasiva della televisione, ha saputo nel secondo dopoguerra raccontare con una forza evocativa che non ha forse eguali il contrasto tra le potenzialità della nazione, alla prova per la prima volta con la dimensione democratica pluralistica, e le realizzazioni (Brunetta, 1995; Patriarca, 2010), la canzone di Sanremo più prosaicamente ha invece mostrato come l’Italia era. Con il linguaggio della musica detta allora “leggera”, che diveniva fondamentale nella cultura di massa, e con la ricerca di una canzone italiana che tenesse conto dell’evoluzione delle forme sia sul piano nazionale sia su quello internazionale.
A tale proposito abbiamo scelto una narrazione che componesse la panoramica generale attraverso il racconto della storia del Festival, e che si soffermasse su selezionati primi piani incentrati sull’analisi musicale e testuale di brani e su interpreti, tendenze, situazioni che ci sono apparsi meritevoli di uno sguardo più ravvicinato, con l’obiettivo di cogliere gli umori di fondo, le espressioni, la freschezza, le rughe di una manifestazione così rappresentativa dei successi e degli insuccessi dell’Italia liberata.
Ponendoci dal punto di vista dello spettatore, abbiamo rivisto e analizzato le molte edizioni, sulla base delle disponibilità degli archivi in sostanza i materiali digitalizzati e resi pubblici dalle Teche rai lasciandoci guidare dal filo conduttore che anno dopo anno ha dato senso alle realizzazioni dello spettacolo, alla scelta delle canzoni, degli interpreti, dei conduttori.
Questo libro ha preso forma dunque anche grazie alle fonti che abbiamo utilizzato: in primo luogo le registrazioni delle trasmissioni, altri reperti audiovisivi disponibili in archivi o, grazie soprattutto a YouTube, in rete. Le analisi dei brani sono state fatte essenzialmente sulle esecuzioni durante una o più serate del Festival. Abbiamo fatto ricorso alle incisioni discografiche solo laddove non è stato possibile reperire le versioni originali dal vivo e, in tal caso, abbiamo indicato l’edizione di riferimento.
Ci siamo avvalsi delle cronache giornalistiche della stampa quotidiana e a tale proposito abbiamo limitato la scelta di un materiale altrimenti ingovernabile a quattro testate esemplari: in ordine di anzianità, “La Stampa”, “Corriere della Sera”, “l’Unità” e “la Repubblica” e settimanale, in particolare “tv Sorrisi e Canzoni”, che ha seguito il Festival fin dalle origini.
Le fonti utilizzate aiutano a chiarire che cosa si trova in questo libro: innanzitutto l’analisi di ciò che è visibile ed è stato visto dagli italiani, e cioè le canzoni nel loro contesto e nella loro successione durante le serate del Festival. In secondo luogo abbiamo voluto verificare se esistesse e in caso affermativo quale fosse il nesso tra l’appuntamento annuale e l’evoluzione storica del paese. In terzo luogo, abbiamo tracciato il mutamento del linguaggio musicale parlato nel Festival in relazione con lo sviluppo della canzone italiana e internazionale. A Matteo Piloni, per ragioni anagrafiche, è spettato il compito di ripercorrere la sezione dei Giovani o Nuove proposte, che a partire dal 1984 ha costituito una costante del Festival.
Non abbiamo preso in considerazione ciò che non è evidente: i processi produttivi e le scelte creative che portano alla nascita delle canzoni, i modi in cui si è giunti alla selezione dei brani in gara, i retroscena del sistema organizzativo e costruttivo del Festival, aspetto sulle cui dinamiche hanno aperto un varco con la sapiente leggerezza del cinema e della narrativa film come Sanremo, la grande sfida di Piero Vivarelli nel 1960 e da ultimo il romanzo Infinita notte di Alessandro Zaccuri nel 2009. In altre parole non abbiamo perseguito, anche metodologicamente attraverso interviste e ricerche sul campo, i racconti dei protagonisti. Piuttosto abbiamo cercato di capire coloro che assistevano al Festival e ne ascoltavano le parole in musica. Attraverso le canzoni abbiamo ricercato gli italiani, ovvero i destinatari di quei brevi spezzoni di arte o di narrazione, interlocutori privilegiati di coloro che li avevano creati. Il Festival di Sanremo ci può aiutare a comprenderci meglio, a cogliere le nostre costanti e discontinuità negli ultimi sessant’anni di trasformazioni epocali? È stato questo il nostro obiettivo. Ciò che a noi è importato maggiormente è restituire gli oggetti che hanno nutrito un evento divenuto rituale nei decenni di vita democratica del paese. Coscienti che il Festival non è che una delle mille voci del flusso cangevole della comunicazione, abbiamo ripercorso una storia contraddittoria che ha visto gli italiani, inizialmente chiamati ad assistere alla fondazione della nuova Canzone italiana, sempre più spinti, dai fatti, dai critici e dagli stessi protagonisti organizzatori, produttori, autori, cantanti a non dover più pretendere troppo. Eppure sono stati essi a decretarne la tenuta e la riuscita, sia pure in un rapporto di amore-odio. Abbiamo voluto rendere palese il successo e l’insuccesso immediati di Sanremo, dando conto delle vendite dei dischi delle canzoni in gara attraverso le classifiche annuali tratte dal sito Hit Parade Italia.
L’etnomusicologa e lo storico hanno competenze e punti di vista inevitabilmente diversi. Hanno potuto incontrarsi sulla base della comune consapevolezza che le finalità della musica sono primordiali, quasi da essere fuori dal tempo. Vivono però in uomini storicamente contingenti che creativamente aggiornano a seconda delle situazioni comportamenti riconducibili a gesti ancestrali: innamorarsi, relazionarsi con sé stessi e con gli altri, divertirsi, voler migliorare, sperare, disperarsi, avere paura della morte ecc. È difficile con questi presupposti dividere il giusto dallo sbagliato, il bello dal brutto. Ci siamo quindi trovati concordi nel non esprimere giudizi estetici sulle canzoni, ma piuttosto descrivere il ruolo storico di alcune modalità di organizzazione dei suoni e dei personaggi che hanno loro dato voce.